Fashion Flair, la prima sfilata di moda artificiale nata dall’interazione tra stilista e smartphone: ma siamo pronti a delegare il processo creativo?
Che la moda sia sempre più contaminata dalle nuove tecnologie è ormai un dato di fatto: volenti o nolenti bisogna accettare il fatto che la società contemporanea è sempre più globalizzata ed iperconnessa e che la moda, intesa come fenomeno sociale specchio dei tempi, non può che piegarsi a questa evoluzione.
Le sfilate diventano sempre più interattive e si possono seguire in streaming anche da una parte all’altra del mondo; i camerini sono sempre più tecnologicamente innovativi e permettono – grazie alla realtà aumentata – di vedersi indosso abiti che non si sono fisicamente indossati e lo shopping online è già una realtà consolidata e di successo da svariati anni.
Ma il progetto Fashion Flair stupisce un po’ tutti perché va a colmare un gap che non era stato ancora colmato: quello della produzione di una collezione moda con l’interazione di un’intelligenza artificiale.
La notizia è di questi giorni e ha già destato scalpore tra gli addetti ai lavori: il 9 maggio scorso ha sfilato a Milano la prima collezione di abiti co-creata dall’intelligenza artificiale di uno smartphone, nello specifico il nuovo HUAWEI P30 PRO, e Anna Yang, stilista del brand Annakiki.
La vera novità risiede proprio nel processo creativo che, per la prima volta nella storia, vede essere umano e macchina collaborare per dare vita a qualcosa di artistico – in questo caso una collezione moda – partendo da spunti che possono essere un colore, una stoffa, un volume, una texture.
Ineserendo questi parametri, l’intelligenza artificiale dello smatphone è in grado di suggerire gli abiti da realizzare.
Sembra fantascienza, ma è già realtà e Fashion Flaire, che ha riscosso parecchio successo al suo debutto, lo dimostra.
A questo punto però parte la considerazione etica: può una macchina davvero sostituire la creatività umana? Può uno smartphone prendere il posto della scintilla creativa propria di uno stilista? E se può farlo nell’ambito – ad esempio – del pret a porter, potrà fare altrettanto in quello dell’alta moda?
Il dibattito è sicuramente interessante, soprattutto considerando che, una volta sfondata una porta, è probabile che altri seguiranno l’esempio: ma che fine farà l’artigianalità di esecuzione e di pensiero?
Staremo a vedere gli sviluppi futuri.