A volte le mamme si rompono, un po’ come accade ai giocattoli, è quello che ripeto alle mie figlie quando mi vedono triste. Allora loro mi guardano e mi dicono che no, non sono rotta, perché non ho ferite e non sto perdendo pezzi come quando un giocattolo si rompe.
Devono ancora impararlo, loro, che le rotture più profonde sono quelle che non si vedono e che sono anche le più pericolose, perché non essendo visibili se ne restano lì, trascurate, per anni e ti scavano solchi nell’anima che sono difficili da rimarginare. Lo capiranno tra qualche anno, per ora mi limito a spiegare loro il concetto di stanchezza, facendolo passare sempre come un qualcosa di fisico.
Ho passato momenti più o meno lunghi in cui nulla sembrava avere un senso; momenti in cui neanche il loro bel visino bastava a darmi il sorriso e quando il sorrio c’era, era un grande sforzo fatto solo per loro. Non ci sono molte cose a cui aggrapparsi in quei periodi; non basta il lavoro, non bastano gli amici, non basta la famiglia. Se poi queste cose non ce l’hai e hai solo dei meravigliosi figli a cui dover dispensare sorrisi, è tutto ancora più difficile.
Una madre si sente fallita quando non riesce a dare la serenità ai propri bambini, vorrebbe dargliela anche quando si sente dissolvere, vorrebbe sentirsi in grado di essere sempre e comunque il loro punto di riferimento e pensa di non valere nulla quando non è così; quando la vita ci mette alla prova e lei sa che non può mollare, quando ci sono i problemi, quelli veri e il suo cuore è frantumato, scisso tra il bisogno quasi fisico di prendersi i propri spazi e le proprie decisioni e l’istinto atavico di mettere sempre per primo il benessere dei suoi figli.
Ci sono stati molti giorni, dopo la fine del mio primo matrimonio (che pure avevo deciso io) in cui non sono stata nemmeno in grado di preparare alle mie bimbe una cena decente: per qualche settimana – per non dire mese hanno cenato con wurstel, panini con il formaggio, latte e biscotti, yoghurt e cereali. Ad un certo punto, benchè fossero piccolissime, erano proprio loro a dirmi “non preoccuparti mamma, riposa, i cereali sono buonissimi”. Mi sentivo una merda, ma non riuscivo proprio a dare di più. Poi finita la “cena” le stringevo a me sul divano e mentre guardavano i loro cartoni preferiti piangevo fiumi di lacrime senza farmi sentire.
Questi periodi, per cause diverse, li passiamo più o meno tutti ed è difficile atraversarli senza sensi di colpa; ti viene da pensare che, cavolo, tu a loro devi insegnare la felicità e non questo. Ma io l’ho spiegato più volte, aldilà del momento di sconforto non mi sento una madre peggiore, credo che i bambini debbano essere guidati attraverso tutti i tipi di sentimenti, tenendoli per mano per non farli spaventare e dandogli la base per reagire nel caso in cui un giorno dovessero passarci anche loro.
Ora quel brutto periodo è passato, sono cresciuta, maturata, ho capito che qualsiasi cosa accada posso e devo farcela per le mie figlie e per gli altri due che nel frattempo sono arrivati. Ci sono ancora giornate nere, ma sono riuscita a fare mio il detto “domani è un altro giorno”. in quanto a loro, al periodo scuro che volente o nolente gli ho fatto vivere, devo dire che hanno sviluppato una sensibilità particolare e oggi sono le mie più grandi alleate nelle giornate no, pur restando sempre delle bimbe piene di vitalità ed allegria (e meno male).
non è vero che una mamma si alza ogni mattina ringraziando il cielo per i doni che il Signore le ha fatto, non è vero che basta avere dei figli per tenersi la felicità stampata in faccia, non è vero che non ci si può sentire sole anche in una casa piena di bambini. Ma una cosa ve la assicuro: quando arriveranno con le loro manine tozze a portarvi la carta igienica per asciugarvi il viso (che almeno in casa mia è l’unica cosa a cui riescono ad arrivare dal basso del loro metro e qualcosa), le labbra si incresperanno da sole in su, contraendosi in un sorriso.
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