Un articolo dell’Huffington Post mi spinge finalmente a mia volta a parlarvi degli attacchi di panico. E ve ne parlo volentieri perchè…
Gli spazi si fanno così piccoli che ti senti immobilizzato Ogni posto diventa quello sbagliato in cui trovarsi, mentre si fa più forte il bisogno di scappare, senza sapere dove.
Riesci perfino a “vederti” dall’esterno, mentre sei in trappola, come se non fossi tu.
Questo è quanto riportato nell’articolo dell’Huffington Post che mi ha spinto a scrivere, a mia volta, un piccolo contributo a favore di chi soffre di attacchi di panico… O forse a sfavore di chi non ne soffre e ingiustamente dispensa giudizi. E non è che non avessi mai letto un articolo in cui qualcuno, apertamente, confessava i suoi stati di ansia, ma sarà il periodo incasinato, sarà la fatica di crescere tre bambine che devono accorgersi il meno possibile del tuo malessere, oggi ho deciso di scrivere anch’io.
Soffro sporadicamente di attacchi di panico dalla tenera età di 19 anni; o meglio, a 19 anni questa cosa mi è stata “ufficialmente diagnosticata”, ma io credo di soffrirne da sempre. Ora ho 34 anni, il tempo e le varie stagioni della vita stanno facendo il loro corso, ma i miei “fedeli amici” in tutti questi anni non mi hanno quasi mai abbandonato. Sono stata meglio in gravidanza, sebbene in gravidanza non si possano assumere farmaci specifici se non in dose minima, ma gli attacchi di panico fanno parte del mio esistere e tornano a trovarmi quando meno me lo aspetto, spesso quando sto per dimenticarmi della loro esistenza. Questo è il loro modo di esistere, forse, e forse è anche il mio.
Nel mio percorso mi sono spesso trovata accanto persone che non hanno idea di cosa significhi convivere con questa patologia, o che questa sia appunto una patologia a tutti gli effetti. Alcuni sono restati e hanno voluto sapere, capire, altri ancora sono restati in silenzio e in accoglimento, ma in tanti, tantissimi, sono scappati, unendo alla mia sensazione di panico il senso di abbandono che peggiora solo le cose. Io, intanto, mi sono accorta che questa “malattia” è molto più diffusa di quanto si possa pensare e che spesso sono le persone più insospettabili a soffrirne, quelle che magari sono sempre pronte ad ascoltare gli altri senza mail lamentarsi, ad essere forti quando nessuno lo sarebbe, ad alzarsi la mattina senza quasi aver dormito ed andare al lavoro senza fare una piega. Spesso si tratta di quelle persone a cui senti di poterti appoggiare, perché loro sono forti come rocce e non riesci ad intravedere questo buio dentro, se non lo conosci.
Il buio completo, questo è un attacco di panico. Una sensazione di paura, morte ed abbandono totalizzante ed incontrollabile, che ti prende la mente e ti paralizza il corpo. La prima volta che mi è venuto a trovare era un pomeriggio torrido di agosto e io ho iniziato a sentire un freddo tremendo mentre rientravo a casa, un freddo che produceva un tremore che non trovava sollievo in nulla, coperte, Phon, felpe su felpe. Me ne stavo appoggiata contro il muro piangendo e tremando, ma tremando così forte che anche il cuore e tutte le viscere mi tremavano. Pensavo ad una persona molto cara scomparsa di recente e in un momento la sua morte è stata la mia. Chi doveva fare qualcosa ha fatto del suo meglio ed è così che ho conosciuto Mr. Valium e poi Mr. Xanax e tutti gli altri rispettabili signori che ancora oggi mi tengono compagnia nei giorni più grigi.
Cosa succede durante un attacco di panico? Succede che tu non sei più tu, che ti percepisci come un estraneo intrappolato in un corpo e in una mente di cui non hai assolutamente il controllo, che hai bisogno di andare non sai dove, di scappare d non sai cosa, di fermare il tremore delle tue gambe e delle tue mani non sai come. Succede che i muri sembrano piegarsi, le voci distorcersi, i suoni ovattarsi se non per i rumori più fastidiosi, che si amplificano; succede che ti trovi improvvisamente solo e indifeso mentre magari sei in mezzo ad un supermercato con centinaia di persone e ti sembra che tutte possano vedere ciò che ti sta accadendo dentro. Succede che per qualche momento muori e poi rinasci, sfinito come chi ha combattuto una battaglia contro il più atroce dei nemici e con il mondo che non è caduto, ma che ci è andato molto vicino.
Mi è stato chiesto molte volte come faccio a convivere con gli attacchi di panico e contemporaneamente fare la madre, lavorare, essere una moglie. La verità è che chi soffre di attacchi di panico non è necessariamente diverso da voi persone normali, se non in quei momenti in cui si perde completamente, che se li conosci gli attacchi di panico diventano un nemico con cui convivere e a cui arrendersi dolcemente quando ti è possibile, perché solo così potrai ostacolarlo nel momento in cui non puoi tollerare che ti voglia per forza portare con sè. Io non sono una psicologa o un neurologo, ma posso dire che solo una lunga terapia mi ha permesso di capire da dove arrivino nel mio caso questi buchi neri e soprattutto come non soccombere. Ho avuto attacchi di panico sporadici o frequenti in qualsiasi situazione della mia vita, persino mentre partorivo mia figlia, durante appuntamenti di lavoro importanti mentre parlavo davanti a più o meno persone, mentre sfilavo in passerella poco più che ventenne, mentre facevo la spesa con le mie bambine, semplicemente mentre dormivo, svegliandomi di colpo con questa sensazione di morte. Sono sempre sopravvissuta e poche volte ho perso davvero il controllo; oggi riconosco gli attacchi di panico dal tremore alle mani che nel mio caso li contraddistingue e quando proprio devo provo a neutralizzarli, a chieder loro una piccola proroga di qualche minuto o qualche ora, a nascondere le mani che tremano e fare un grande respiro. Quando sono sola e posso concedermelo (quindi molto raramente) smetto di respingerli e mi lascio morire per qualche minuto, sicura che mi sveglierò più forte di prima.
L’anno scorso, quando ho sentito per la prima volta alla radio la canzone En e Xanax di Bersani ho sorriso e ancora oggi al bisogno la ascolto e riascolto e la canticchio… Ed è proprio così che la penso: “se non ti spaventerai con le mie paure, un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle”. Io sono una che senza vergogna convive con la paura e chi questa paura non vuole comprenderla o semplicemente chi non è in grado di non spaventarsi, non può far parte del mio percorso di vita. Credo che lo sappiano anche le mie bambine (anche se a loro ovviamente non ho mai spiegato in maniera esplicita cosa mi accade in quei momenti bui, limitandomi a dire che “mamma è stanca e deve riposare un attimo”)… Loro lo sanno, perché quando io affondo nel buio mi accarezzano la schiena e smettono come per magia di litigare o fare domande. Sanno che la loro mamma dal buio torna sempre e che è solo questione di attimi in cui si deve dare tanto amore in più, o semplicemente se non se ne è in grado rimanere in silenzio accanto a te.
Interrogatevi, fatevi domande, siate anche indiscreti, ma non lasciate mai sola una persona che soffre di questo disturbo, perchè probabilmente la sua sensibilità la porterà ad essere una delle migliori persone che avrete la fortuna di conoscere in vita vostra.