E’ una parolaccia, ma ormai viene usata abitualmente nel mio mondo: markettara. Così viene definita la blogger o influencer che sponsorizza più o meno velatamente dei prodotti, di solito in senso molto dispregiativo (sì perchè dai, lo sapete tutti a cosa fa riferimento davvero questo termine)… Eppure dovrebbe essere questo il senso del lavoro di queste due categorie, o no?
Eh già, il problema sta proprio qui: considerare quello del blogger un lavoro (sugli “influencer” ho un giudizio a parte). perchè un lavoro prevede un guadagno, o no? Cioè, chi lavora in ufficio, in fabbrica, in un negozio, ovunque, alla fine del mese si aspetta di essere pagato a fronte delle ore spese e dell’impegno e perchè chi scrive dietro la tastiera di pc o smartphone, condividendo suggerimenti e pareri, testando prodotti per capire se proporli o meno al proprio pubblico, non dovrebbe ricevere un compenso?
Il tema è scottante e non è questo il luogo in cui affrontarlo seriamente (non seriamente potrei dirvi molte cose sull’argomento e sul comportamento dei blogger e delle agenzie pubblicitarie, ma no, per oggi resterò seria). Qui voglio soltanto ribadire che avere successo con un blog, al contrario di quanto sostengono alcuni, non è cosa da tutti e che per crearsi un vero seguito – quello a cui eventualmente proporre dei contenuti pubblicitari – bisogna davvero farsi il culo.
Come dice la mia amica Veronica “Spora” Benini, il segreto del successo online è donarsi, perchè “Una community non si costruisce con due post in croce, e neanche con trenta. Una community si costruisce con un lavoro costante di interazioni sincere, e tieni botta solo se quella community è tua figlia, se hai un piacere talmente grande a vederla crescere ed interagire, che fa si che tu non possa mollare. Io tengo lo sporablog da 10 anni, parliamone! All’inizio tu non te ne rendi conto e lo fai perché sei drogata di complimenti, ma a un certo punto ti rendi conto che siete tutte insieme intorno a quel blog/pagina e volete la stessa cosa. Cosa che puoi donare anche tu”.
Con Mamme a Spillo ho fatto così: pur avendo chiaro dall’inizio, ormai quattro anni fa, che questo doveva diventare un lavoro – e con ciò produrre guadagno – e dovendo quindi seguire una logica e una programmazione dei contenuti, il blog e i social collegati sono sempre stati lo specchio della mia quotidianità e lo sono tuttora, anche se i follower da cento sono diventati più di 70000 e anche se spesso scrivo non solo per piacere personale, ma anche per richiesta delle aziende. Però ci metto sempre la faccia, sempre, nel bene e nel male.
E qui arriviamo al succo del problema: tu decidi di metterci la faccia, in quattro anni fai crescere il tuo blog fino alle dimensioni di una piccola azienda, con collaboratori ed oneri precisi, poi posti una foto dove si intuisce che “sponsorizzi” un prodotto ed ecco che ti danno della markettara, in maniera più o meno pesante. Anche se tu quel prodotto o servizio lo consigli perchè lo hai davvero provato, lo hai fatto entrare nella tua quotidianità e ti sei trovato bene: perchè se una persona “comune” (cioè chi non fa del web il proprio lavoro) dà un giudizio su qualcosa o posta la foto delle ultime scarpe che ha comprato, quello va bene, se lo faccio io questa è una marketta sleale, a prescindere. Uso il biberon della Chicco? Il biberon della Chicco fa schifo e la Chicco diventa nemica delle mamme che vedono nel guadagno tramite il web un guadagno sleale. Partecipo ad un evento di Mulino Bianco? “Non comprerò più prodotti del Mulino Bianco a prescindere” (e stica, aggiungo io).
non è che non ci siano le note positive, anzi; però è un dato di fatto che quando inizi ad avere una certa visibilità alcune persone (donne, di solito) pensano che tu debba per forza prenderle in giro e magari continuano a seguirti solo per criticarti.
La logica è: GUADAGNI TRAMITE IL WEB=SEI SLEALE.
Perchè tramite il web, dicono loro, si guadagna facilmente e con slealtà. Vallo a dire a chi, come me, si è creata un lavoro da zero studiando, prendendo cantonate, avendo spesso voglia di mollare tutto perchè all’inizio non guadagni un tubo. Vallo a dire a chi spesso durante i primi uno/due anni deve tenersi anche il lavoro “normale” perchè non è che Chicco viene a bussarti alla porta due mesi dopo che hai aperto un blog, vallo a dire a chi passa ore e giornate a studiare progetti e campagne per far crescere il proprio sito e i propri social, vallo a dire a chi, a fronte di mille e più commemnti ad una foto, passa le nottate a rispondere singolarmente a tutti. Vienilo a dire a me, che probabilmente ti mando a quel paese, anche se spesso mi mordo la lingua e mi bacchetto le mani per non farlo.
Nella visione di molte donne che non sono soddisfatte della propria carriera o della propria vita, chi prova a farcela è sleale: e lo è davvero, perchè tradisce la loro idea di un sistema in cui una donna – una madre, specialmente – non ce la può fare. Tradisce l’idea di una mamma che per tirare su i propri figli deve contare solo sul suo compagno e scarificare la propria esistenza. E allora se fa pubblicità – spontanea e vera che sia, non conta – questa è una markettara, sì, come la peggiore delle mignotte. Anche se in questo modo io do da mangiare alle mie figlie e mi permetto qualche sfizio senza aprire le gambe a nessuno… Perchè si sa, è meglio offendere che provare a capire come funzionano cose che non conosci.
Sono markettara? Certo, il mio guadagno viene dalla pubblicità, diretta o indiretta. Però sono leale, non so quanto questo conti nel giudizio. Provo i prodotti e i servizi che mi vengono proposti insieme alle mie bambine e ho la “responsabilità” di tante mamme che mi seguono e dei loro bambini. Non posso tradirli.
Chiamatemi markettara, ma per me guadagnare con lealtà facendo quello che amo è la strada giusta.